Quando il suo vescovo Epitteto II faceva e disfaceva papi, patriarchi, vescovi e santi
Leggere,
anzi immaginare – dato che biblioteche, libri e documenti furono bruciati - la
storia di Centumcellae, le vicende che ne precedettero la nascita e quelle che
seguirono alla sua cancellazione, per certi versi è più appassionante di un romanzo noir.
L’immaginazione ci porta al periodo quando
Centumcellae raggiunse il massimo della sua potenza sotto il Vescovo Epitetteto
II, che dalla Cattedrale Ariana “in
acclesiam beati Petri apostoli Centumcellensis”, faceva e disfaceva papi, patriarchi,
e vescovi Santi come Lucifero di Cagliari, e al Concilio di Rimini legò davanti
al suo cocchio un vescovo Rufiniano, frustando i cavalli e facendolo correre
fino a fargli scoppiare il cuore.
Da Centumcellae s’irradiava la
dottrina ariana che - dichiarata eretica dalla Chiesa - riemerse al di fuori
dei confini dell’impero, nella penisola arabica dove, con una sorta di
sincretismo confluì nell’Islam, religione inizialmente considerata una eresia
del Cristianesimo.
Centumcellae - città fedelissima
agli imperatori d’oriente, fortezza bizantina, porto dove gli esattori
imperiali inviavano le tasse riscosse in Italia a Costantinopoli - spina nel
fianco di Roma – in contatto coi “barbareschi” Siciliani, Amalfitani,
Napoletani, Gaetani, Corsi e Spagnoli, le cui flotte imponevano onerose gabelle
alla chiesa di Roma, finché i papi, con l’aiuto dei Franchi e dei Pisani
riuscirono a mettere freno ai soprusi di questi “saraceni”.
Centumcellae fu spianata, i suoi
capi - fedeli agli imperatori bizantini - uccisi, la popolazione dispersa e il
nome – che incuteva spavento - cancellato per sempre e sostituito con un “non-nome”: Cività Vecchia.
La diocesi di Centumcellae – reciso
il cordone ombelicale con Costantinopoli - fu soppressa, la cattedra vescovile
passò a Viterbo e tornò qui solo dopo un millennio. Analoga sorte toccò a gran
parte delle altre città “ariane” della
Tuscia e dell’agro romano su sponda destra del Tevere – epicentri di eresie e
trame eversive, fino ai nostri giorni - spianate, sotterrate, ripopolate secoli
dopo con nuove genti provenienti da lontano e rinate con un nuovo nome. Di
Epitteto II non esiste nessuna immagine, della sua Centumcellae e della
Cattedrale di San Pietro Centumcellensis, che faceva concorrenza alla Basilica
di San Pietro, non è rimasta traccia.
Ultime in ordine di tempo a essere
spianate, furono le città di Castro, capitale dell’omonimo ducato di cui resta
il cratere - su cui domina un crocifisso con la scritta “qui fu Castro” e Santa Marinella, il cui progetto di “Città del
Sole”, del Principe Taddeo Barberini, nipote di Papa Urbano VIII, fu stroncato
sul nascere, quando papa Innocenzo X, successore di Urbano, non avendo particolarmente
in simpatia i Barberini, diede ordine di smantellare pietra su pietra il nuovo
porto di Santa Marinella, appena ultimato. Oggigiorno Castro è ancora diruta,
mentre il porto di Santa Marinella dopo quattro secoli è rinato, ma il grandioso
progetto dei Barberini della Santa Marinella “Città del sole”, è ancora lì, sulla
carta! Nel frattempo i Barberini si sono estinti.
Sembrano
vicende lontanissime, diatribe per noi astruse e incomprensibili, invece la
linea di frattura che si produsse allora, nell’impero romano, nel
dibattere sulla natura del Cristo, era destinata a durare fino a
oggi e sempre provocando tragedie. Il confine fra l’impero di
Occidente e d’Oriente separava il Papa di Roma dal
Patriarca di Costantinopoli, finché sei secoli dopo
divenne un vero scisma fra Cattolici e Ortodossi,
che tante volte si cercò di ricucire, sempre invano. Fu quella linea,
che, immutata, divide ancora oggi i Balcani, a trasformare la
regione nella “polveriera d’Europa”.
Sempre su quella linea, dopo infiniti conflitti regionali, si
sarebbero ferocemente combattute le due guerre mondiali
e anche quelle della ex Jugoslavia nel decennio 1991-2001.
Secondo alcuni la conclusione di
questo “romanzo storico noir” è che l’Impero
Romano non cadde perché un bel giorno qualche migliaia di uomini
brutti, che gli storici definiscono barbari, conquistarono un Impero con
centinaia di migliaia di legionari ben equipaggiati ed addestrati. “Non
furono le invasioni dei barbari a bruciare i libri e le biblioteche e a
distruggere i templi dell’Impero Romano, ma gli editti contro le religioni
politeiste che emanavano gli imperatori stessi: l’arte classica fu depredata e
usata come materiale per costruire. I condottieri che falsamente gli
storici hanno definito barbari e invasori, in realtà erano generali dell’Impero
d’Oriente o di Occidente che si facevano la guerra tra di loro: Alarico,
Genserico… . Non erano condottieri di un popolo, ma generali dell’Impero. Erano
sì di origine germanica o slava, ma i generali in quel periodo lo erano un po’
tutti”.
Figura 2 Progetto dei Barberini di rinascita di S.Marinella, fortezza (oggi
passeggiata a mare) Città (oggi zona di Caccia Riserva) Castello (Oggi
proprietà Odescalchi), Porto (oggi in concessione alla Porto Romano)
Figura 3 S.Marinella –
porto realizzato dal Principe Taddeo Barberini, nipote di Papa Urbano VIII e
demolito da Papa Innocenzo X
APPENDICE STORICA E BIBLIOGRAFICA:
Epitteto Vescovo di Centumcellae nomina (355) l’antipapa
Felice nativo di Ceri.
Dall’interrogatorio
del VESCOVO di ROMA Liberio (i vescovi di Roma ancora non si chiamavano PAPA).
- L’imperatore
Costanzo disse:
“Sia perché sei cristiano, sia perché sei
vescovo della nostra città noi abbiamo ritenuto giusto convocarti e ti
chiediamo di rifiutare la comunione con l’indicibile follia dell’empio
Patriarca di Alessandria Atanasio, un
concilio ha stabilito che egli è estraneo alla comunione della Chiesa. Dato che
Tu aspiri alla comunione con le Chiese, voglio rimandarti a Roma. Per questo
lasciati persuadere dalle necessità della pace: firma e torna a Roma”.
- Liberio:
“Ho già
detto addio ai fratelli di Roma. Le leggi della Chiesa sono più importanti
della mia residenza a Roma”.
- L’imperatore:
“Dunque hai 3 giorni per riflettere; se vuoi,
firma e torna a Roma, oppure decidi in quale luogo vuoi essere spostato”.
- Liberio:
“3 giorni non possono mutare la mia
decisione; mandami dove vuoi”.
- Epitteto Vescovo di Centumcellae:
“O Imperatore. Liberio opponendosi a te, oggi
non parla né per fede, né per i giudizi della Chiesa, ma perché possa vantarsi
tra i senatori romani di aver convinto l’Imperatore”
L’imperatore,
interrogato Liberio dopo 2 giorni e avendolo trovato sempre dello stesso
parere, lo fece esiliare a Berea, in Tracia, alla sua partenza gli inviò 500
monete d’oro per le spese. Liberio disse a chi gliele aveva portate: “Vattene e rendile all’imperatore; infatti ne
ha bisogno per darle ai suoi soldati”. Anche l’imperatrice gli inviò la
stessa somma. Liberio disse: “Dalle all’imperatore;
ne ha bisogno infatti, per le spese di viaggio dei soldati. Se non ne ha
bisogno l’imperatore, le dia ad Aussenzio e a Epitteto di Centumcellae: loro ne
hanno bisogno”.
Mandato in esilio Liberio, EPITTETO
insediò l’Antipapa Felice: in un palazzo imperiale (forse Milano) con 3 eunuchi
(vescovi indegni) incaricati di rappresentare il popolo.
Buona
parte dei cristiani fino al VII sec. aderiva alle tesi dell’Arianesimo, che Dio
è il Principio Unico, eterno ed ingenerato, mentre Cristo, il Figlio generato
da Dio, ha avuto inizio nel tempo e la sua natura divina è inferiore a quella
di Dio. Sicuramente il nascente Islam fu influenzato da questa dottrina ariana,
ancora molto diffusa all’epoca di Maometto, infatti per i musulmani Gesù è
stato il più grande Profeta dopo Maometto, ma non è Dio: Dio è solo Allah.
La posta in gioco contro l’arianesimo
era fondamentale: ammettere una qualche inferiorità del Figlio rispetto al
Padre significava togliere la specifica novità del Cristianesimo, quella di un
Dio che si fa uomo. La religione era considerata dagli imperatori uno strumento
di governo al proprio servizio dell’imperatore e l’arianesimo poiché
subordinava la chiesa ai re, trovò ampi consensi anche tra le popolazioni
germaniche convertitesi al cristianesimo: longobardi, goti, vandali di Spagna.
I vescovi di Centumcellae risiedevano
presso il porto, e la cattedrale Ariana di
San Pietro - in concorrenza con la Cattolica
basilica di San Pietro in Roma - pare fosse a Prato del Turco; questa Ecclesia
Petri apostoli in Centumcellis risultava essere ancora
in piedi nell’821, come riporta il Liber Pontificalis (biografia Papa Pasquale
I).
Nel 315 risulta Vescovo « a Centumcellis » Epictetus I, elencato tra i partecipanti al Concilio di Arles indetto da
Papa Silvestro I.
Gli
successe Epictetus II, un vescovo
straniero di sicura fede ariana, uomo di fiducia e “spia” dell’imperatore. Epitteto II, viene inoltre definito da s.
Atanasio patriarca di Alessandria d’Egitto (P.
G., XXV, 785) «neofita e giovane
audace », «istrione» (Migne, P. G., XXV, 554, 785). L’imperatore Costanzo “lo ebbe amico, perché lo
trovò pronto a tutti i misfatti, a insidiare i vescovi per far piacere all’imperatore;
lo intruse nel seggio di Centumcellae,
forse (cf. Duchesne, Hist. anc. de l’Ègl., Il, 260, 452) perché sorvegliasse da vicino il papa.”
Lucifero, vescovo di Cagliari,
lo definisce « haereticus », « servus » dell’imperatore Costanzo II
(350-61), « satelles » di Costantino
I (
337) (cf. vol. XIV
del CSEL, pp. 15 e 299).
Nel 356 Epitteto II intervenne al
burrascoso colloquio tra il papa Liberio e l’imperatore a Milano; durante il
quale Epitteto insultò il papa, colloquio
che finì con l’esilio del pontefice e (cf. Theodoreti
Hist. eccl., II, cc. 13-17, in
Migne, P. G., LXXXII, ed. Parmentier, Leipzig, 1911, p. 133, 11 ss.).
Nel 357 Epitteto viene citato in
una lettera (J-L,
218) di papa
Liberio dall’esilio, lettera però non ritenuta autentica da tutti i critici.
S. Ilario (in vol. LXV del CSEL, p. 87), riferendo una lettera del
concilio di Rimini (a. 359) all’imperatore Costanzo, parla di « Epictetus et ceteri qui haeresi consenserunt
», onde si deduce
che
il vescovo di Centumcellae presente a Rimini e sottoscrisse la formula
incriminata.
S. Ilario stesso (o.c., p. 115)
afferma che Epitteto nel concilio di Rimini condannò papa Liberio.
Nel 383-4 due preti della setta
dei luciferiani scrivevano (in vol. XXV del CSEL, p. 13) che «Epictetus atrox ille et dirus de Centumcellis
episcopus » avrebbe tormentato e fatto morire un Vescovo Rufiniano confessore
(della fede nicena). A quel tempo però Epitteto era morto, o non più vescovo di
Centumcellae.
Della
Istoria ecclesiastica descritta da fr. Giuseppe ..., Volume 1;Volume 6
Figura 4 – Notizie del
Vescovo di Cetumcellae Epitetto II
Figura 5 Bibliografia su
Centumcellae