A Luigi Mazzella di Bosco
al
quale voglio bene
come
un fratello
più
piccolo
Livio Spinelli
Partenza
Sono partito da Santa Marinella alle
ore 3.05 di notte. Ho lasciato l'automobile alla stazione FF.SS. di Civitavecchia,
partendo con il treno delle 3.36. Dopo un viaggio in piedi da Civitavecchia a
Napoli in un treno superaffollato arrivo a Napoli Centrale (Piazza Garibaldi)
alle ore 6.45. Dalla stazione in autobus fino al porto, dove al punto di
imbarco comincia a cadere una pioggia torrenziale con tuoni che sembravano
scoppi di bombe e fulmini che ci scoccavano intorno come flash di macchinette
fotografiche.
Agli sportelli file di persone per
comprare i biglietti, chi per Capri, chi per Ischia, chi per Procida. Di fronte
a noi la sagoma imponente del Castello Angioino mentre sentiamo la pioggia,
mista a grandine, che martella la tettoia sotto la quale ci ripariamo. A un
certo punto sotto la pioggia battente intravedo l'aliscafo per l'Isola di
Procida, si sale a bordo, ma il mare e così mosso che fino all'ultimo il
capitano è in dubbio se partire o no. Il mare è veramente grosso e le onde
minacciano di farsi ancora più forti, mentre pioggia, lampi e tuoni continuano
a imperversare.
All'improvviso il Via! Il capitano
ordina di chiudere le porte e l'aliscafo con uno scossone si stacca dal molo
avviandosi verso l'uscita del porto. Passiamo di fronte a navi petroliere
gigantesche, mentre a sinistra notiamo tra la foschia, la sagoma grigia di una
enorme nave da guerra americana della NATO.
Appena usciti dal porto di Napoli
l'aliscafo proprio come un aereo che decolla manda al massimo i motori e si
alza sull'acqua.
Dopo alcuni istanti cominciamo a
ballare: onde enormi ci sommergono quasi interamente, mentre dal finestrino mi
accorgo che stiamo camminando in cima ad onde alte più di cinque o sei metri,
l'aliscafo oscilla paurosamente piegandosi ora a destra ora tutto a sinistra;
qualcuno comincia a sentirsi male - per alcuni attimi l'aliscafo riprende il
suo assetto stabile e poi di nuovo una violenta ondata ci sbalza dal sedile.
Comincio a preoccuparmi, e siccome sono seduto vicino alla porta di uscita, mi
preparo mentalmente al peggio, ipotizzando cosa fare, nel caso un'onda più forte
delle altre faccia rovesciare l'aliscafo. Intanto cominciamo a vedere Bagnoli,
Nisida e poi Capo Miseno (che si chiama così dal nome dei compagni di Ulisse)
poi dopo il lungo tragitto appare tra le nebbie, in lontananza l'Isola di
Procida: sono felice perchè sono stato uno dei pochi che durante il viaggio non
si è sentito male e che non ha avuto bisogno del sacchettino per rimettere.
Quando sbarchiamo piove ancora forte, dopo tutto quel viaggio mi sento un pò
confuso, e dopo aver chiesto delle indicazioni a qualcuno mi avvio verso Piazza
Posta, facendo quasi un chilometro a piedi sotto la pioggia.
L'appuntamento
Alle ore 9.00 ho appuntamento con Luigi
Mazzella, arrivo con dieci minuti di anticipo. In questa piazza piove così
tanto che non so dove ripararmi, dato che mettendomi interamente al coperto non
lo avrei potuto vedere.
Il tempo passa si fanno le 9.30, continua a
piovere a dirotto, le 10.00, le 10.30 e Luigi non si vede.
Dopo un viaggio simile, interamente
bagnato, comincio a disperare. Telefono a casa dei parenti di Luigi ma di lui
nessuna traccia, nè i genitori, nè gli altri parenti sanno dove sia. Decido
allora di aspettare altri 10 minuti, ormai sicuro che Luigi non sia a Procida.
In quel momento deluso di un viaggio così
lungo e faticoso, mi viene una grandissima voglia di riprendere l'aliscafo per
Napoli e ritornare a casa a S.Marinella subito.
Intanto aveva smesso di piovere, e nel
momento in cui stavo per ritornarmene a S.Marinella vedo apparire Luigi con una
ragazza, che mi saluta candidamente come se nulla fosse successo e come se
darsi un appuntamento per le ore 9.00 e presentarsi alle ore 11.00 fosse da
queste parti la cosa più normale del mondo. Dimenticavo di dire che il Venerdì
Santo all'Isola di Procida c'è l'evento più importante dell'anno La Processione, la cui organizzazione è
a cura della Congrega dei Turchini; essa si snoda per tutte le vie dell'Isola,
e vi partecipano non solo gli abitanti ma vengono tante persone sia da Napoli
che dal resto dell'Italia ma anche stranieri e molti procidani immigrati
all'estero tornano a Procida solo in questo giorno.
Il Venerdì mattina, purtroppo a causa del
maltempo. la processione che doveva uscire alle 7.00 non uscì.
Siccome non avevo mai visto questa
processione, Luigi fa di tutto per spiegarmi che cosa è, ma io non capisco
bene.
Luigi
La gente è delusa, c'è molta confusione,
chi dice che la processione non si farà più, chi dice che sarà rinviata
all'indomani. Luigi continua a parlarmi che la pioggia ha danneggiato i Misteri e io continuo a dirgli che non
capisco cosa siano questi Misteri, lo
capirò l'indomani!
Sono stanchissimo e dopo essere stato a
vedere l'ufficio di Luigi, lui mi accompagna a casa con la sua vespa (una
specie di motocicletta molto diffusa in Italia).
Il mio amico Luigi svolge in quest'isola
il lavoro di Dottore Commercialista, è laureato a pieni voti all'università di
Napoli, è molto bravo ma purtroppo i pochi clienti che frequentano il suo
studio, pur essendo molto generosi, non lo pagano, gli promettono sempre di
pagarlo domani, e poi alla fine si presentano a Pasqua o a Natale o in altre
occasioni e gli regalano dei conigli,
delle galline, o grandissime torte e dolci.
Allo studio di Luigi qualcuno si
presenta anche a cavallo del proprio asino, lo lega all'ingresso dello studio e
pretende di scaricarsi dalla denuncia dei redditi le spese di mantenimento del Ciuccio (nel meridione l'asino si chiama
spesso ciuccio) proprio come se si trattasse di una automobile o di un trattore.
Sto a sentire divertito e allo stesso tempo sorpreso che in Italia esistono
ancora queste cose.
Nel tragitto dallo studio alla casa di
Luigi, che facciamo in vespa, ricomincia a piovere fortissimo, l'isola è molto
lunga e quando arriviamo a casa, dopo quasi un quarto d'ora, sono ormai bagnato
da cima a fondo. La casa è veramente la tipica casa da isola mediterranea di
quelle che i un film si potrebbe credere che siano in Spagna , Grecia o
Turchia, i muri esterni tutti bianchi, le scale all'aperto e poi le Piscine, cioè degli antichi serbatoi di
raccolta delle acque piovane per poterle poi usare come acqua potabile. Luigi
mi dice che suo zio che abita al piano di sopra e ha 90 anni, continua a b ere
solo l'acqua delle piscine, rifiutando quella dell'acquedotto.
Spunta di nuovo il sole, bello, caldo e
raggiante nel cielo azzurro, andiamo un pò in giardino e rimango sorpreso dalle
tantissime piante cariche di limoni e arance giganti. Luigi me ne mette molti
in una grande busta contento e fiero che io me li porterò a casa al ritorno,
come se mi avesse regalato un pezzetto di questa bella isola. Mi asciugo e il
sole mi riscalda, mangiamo poco per pranzo: io due piccolissime mozzarelle
tonde come due palline e bianche come il latte che si munge da queste parti,
assaggio pure un pezzetto di formaggio parmigiano accompagnato con un pò di
pane locale, che è il prodotto più buono di quest'isola. Nonostante la quasi disperazione a cui mi aveva portato
Luigi la mattina, lui è talmente bravo e premuroso nei miei confronti che non
posso non scherzare anch'io sulla mia idea di ritornarmene a casa. Luigi esce,
mentre io, stanchissimo me ne vado un pò a dormire, va a Napoli e poi ritorna
la sera, ci diamo appuntamento alle 20.00. Non appena mi metto a letto crollo
dalla stanchezza e mi addormento, mi sveglio solo quando Luigi dopo avermi insistentemente chiamato comincia
a bussare alla porta; sono le otto di sera, apro gli occhi, mi guardo intorno,
non mi sono mai sentito così bene fresco e riposato come dopo aver fatto un
sonno in quel letto, un sonno allietato da bei sogni.
Tra le tante cose che pensiamo di fare per
la sera, Luigi decide di farmi vedere l'Isola. In questa isola, che conta circa
undicimila abitanti, si conoscono tutti, e continuamente quando si incrociano
si salutano e si fanno dei cenni. Camminando per le strade strette, intravedo
alti portoni di legno antico e massiccio, socchiusi, dai quali filtra la luce e
si vede molta gente che si muove là dentro a preparare i Misteri, che la pioggia aveva in parte rovinato, mettendo a rischio
il lavoro di tanti mesi di quella gente. Lavorano freneticamente e molti di
loro lavoreranno tutta la notte per ripararli.
Al ristorante "La Medusa"
Mi rendo conto
che qui la religione viene sentita in un modo particolarmente intenso e vissuta
come un'esperienza collettiva o meglio corale. Me ne accorgo quando la sera
decidiamo di andare al ristorante a cena e invece di essere contenti i
proprietari ci rimproverano quasi, perchè il Venerdì si dovrebbe digiunare.
Luigi vorrebbe digiunare ma alla fine gli faccio la proposta di non mangiar
carne e arriviamo al compromesso di ordinare un bel piatto di Spaghetti con le vongole, e a malincuore
si convince e mangia anche lui. Pasquale, il marito della proprietaria del
ristorante "La Medusa" ci porta a tavola il miglior piatto di
spaghetti con le vongole che abbia mai mangiato in vita mia.
Pasquale aiuta saltuariamente la moglie,
altrimenti è impiegato della Tirrenia,
una grande società di navigazione. Gli abitanti di Procida, mi spiega Luigi,
sono quasi tutti marinai, s'imbarcano per quattro o cinque mesi e guadagnano
molto bene. Procida, continua Luigi, è l'isola meno frequentata dai turisti, la
più vera, non c'è nemmeno un Hotel, nè un albergo, nè una pensione; inoltre i
procidani non lasciano volentieri la loro isola, nemmeno per raggiungere la
vicina città di Napoli, meglio ancora, afferma Luigi: "quando dico ai miei amici procidani di
andare a Napoli, quelli si scocciano (scocciarsi in dialetto significa infastidirsi)
è come se avessero le radici ai piedi!
"
Pasquale intanto ci serve un vino bianco
locale, fresco al punto giusto. Finiti gli spaghetti intingiamo il pane nel
sugo che è rimasto nel piatto, anche il pane è speciale.
Di secondo io chiedo scampi, Luigi Seppie alla Casseruola, di contorno
carciofi ripieni di mozzarella.
Comincio a riflettere sull'architettura
delle costruzioni di quest'isola: intanto le strade, molto strette, e poi molte
case hanno un tipico balcone rientrante, con la parte superiore fatta ad arco,
ma non a semicerchio, bensì ellittico. Le facciate delle case in genere sono
bianche o colorate con colori che ricordano il rosa pastello, mentre in genere
le porte sono di un azzurro molto intenso. Mi colpisce il fatto che queste case
sono attaccate una all'altra, quasi come se non si trattasse di costruzioni ma
di scultura ricavate da un unico blocco di roccia; esse formano un blocco
compatto, in una sorta di allegro disordine, finestre di tutte le forme e tutte
le grandezze e in queste costruzioni sono incastrate chiese e chiesette
apparentemente piccole a vedersi da fuori, ma molto grandi e luminose una volta
che vi si entra all'interno, tutte poi con belle cupole molto alte. Le strade
non sono asfaltate ma hanno tutte un lastricato fatto con pietre vulcaniche
squadrate, in genere di forma rettangolare di circa trenta centimetri per
quaranta: i Basoli.
Le chiese dell'isola
Tra le tante chiese una mi colpisce in
particolare, quella sul porto, proprio a pochi metri dal mare. Non riesco a
spiegarmi perchè questa chiesa attira la mia attenzione, non ha molto di
particolare ma ricorda tanto quelle chiese che si vedono sugli atlanti
geografici, costruite in Messico o nell'America del Sud, con quel tipico stile
baroccheggiante. Mi colpisce anche l'asimmetria tra la chiesa e il campanile,
il degrado dell'ingresso principale, recintato da alte ringhiere in ferro con
un grosso cancello incardinati su delle colonne in muratura ormai storte,e con
gli intonaci scrostati dal tempo, dall'erosione e dalla salsedine. Mi viene da
chiedere da quanti 'secoli' in questa chiesa non si entra più dalla porta
principale. Si entra invece da una porticella laterale. Cerco di spiegarmi
perchè questa chiesa mi colpisce tanto, essa rievoca nella mia mente i ricordi
sepolti di quando bambino tra i tre e i quattro anni andavo nelle chiese di
Napoli, totalmente abbandonate all'esterno e molto belle dentro. E' sera, c'è
la messa, c'è molta gente nella grande chiesa, i posti sono tutti occupati
sullo sfondo un altare con moltissime candele, man mano che sento la messa
rifletto su questa isola nella quale il senso del tempo scompare, qui sembra
che la fretta non esista, c'è sempre tempo per fare tutto, nessuno corre.
La processione dei Misteri
Ci dirigiamo verso un punto dove deve
passare la processione. Aspettiamo quasi venti minuti finchè si sente il suono
di una tromba che vagamente ricorda lo Shofar.
Arriva la testa della processione e ora
comincio a capire cosa sono i Misteri.
Molti gruppi di ragazzi e uomini di questa isola si riuniscono segretamente e
preparano delle rappresentazioni della vita di Gesù, e creano delle vere e
proprie scene su appositi palchi più o meno grandi e del peso che va dalle
poche decine di chili fino a parecchi quintali. I gruppi sono molti e quindi in
processione sfilano tantissimi Misteri,
lì dove siamo noi quando la processione finisce di passare è trascorsa più di
un'ora. Ci sono bambini anche molto piccoli e tutti i partecipanti alla
processione hanno un costume bianco e azzurro che contraddistingue la Confraternita dei Turchini, alla quale è
demandato il compito di organizzare la processione del Venerdì Santo.
Decine e decine di gruppi continuano a
sfilare, ognuno porta un Mistero ad
esempio l'Ultima Cena, o la deposizione del Cristo Morto. In ultimo arrivano
gli angioletti a lutto, bambini piccolissimi vestiti tutti di nero e ricoperti
di catenine e monili di oro vero, tanto oro e tanti bambini, e il Cristo Morto
che viene trasportato.
Epilogo
La processione continua fino al porto,
dopo di che i gruppi si sciolgono, al porto di nuovo mi colpisce la forma di
quella chiesa baroccheggiante, quasi Kitsch si potrebbe definire. La sera, col
fresco, usciamo Luigi mi presenta tante persone, in questa isola tutti hanno i
capelli nerissimi e molti la pelle olivastra, con la tipica fisionomia araba.
Arriviamo al porto, la chiesa è illuminata all'interno e mentre Luigi parla con
degli amici io entro. L'aspetto di questa chiesa è disarmonico e contrasta in
pieno con la semplice bellezza interno. Rifletto ancora sul senso della
religiosità di questi isolani, mi rendo conto che qui la religione fa parte di
tutto il vivere quotidiano, rimango incantato a sentire la messa tra quella
gente così composta e dignitosa. Mi accorgo che la distanza da dove abito io, e
questa isola, non è tanto una distanza fisica, ma è una grandissima distanza
psicologica e temporale: qui a Procida si vive in un'altra dimensione. Luigi
dice che qui a distanza di pochi chilometri il dialetto cambia molto e quindi
il dialetto dell'Isola di Procida è diverso da quello di Napoli o Pozzuoli.
A Procida quando la gente sente dire che io
sono di Napoli credono che io scherzi, eppure da piccolo parlavo un dialetto
molto simile al loro, ed ora non solo non ne sono più capace, ma non li capisco
nemmeno se essi parlano in dialetto.
Gesù, portalo
con te!
Tornai a casa.
Tempo dopo a Santa Marinella rividi Luigi di sfuggita insieme alla sua ragazza
che si chiamava Cira, era preoccupato perché non riusciva a trovare una
sistemazione. Io invece ricevetti un telegramma col quale venivo comandato di
andare a prendere servizio in Toscana entro 24 ore, dove mi trasferii e così ci perdemmo di vista. Solo molto tempo
dopo venni a sapere che Luigi, come tanti altri giovani, aveva perso la vita in
un terribile incidente stradale, durante uno degli innumerevoli viaggi tra
Civitavecchia e Procida ALLA RICERCA DI SE STESSO E DI UN LAVORO.
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