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domenica 9 giugno 2013

L’ISOLA DI PROCIDA - Procida Island - a LUIGI MAZZELLA DI BOSCO



A Luigi Mazzella di Bosco

            al quale voglio bene

            come un fratello

            più piccolo
 Livio Spinelli
 Partenza
 

           Sono partito da Santa Marinella alle ore 3.05 di notte. Ho lasciato l'automobile alla stazione FF.SS. di Civitavecchia, partendo con il treno delle 3.36. Dopo un viaggio in piedi da Civitavecchia a Napoli in un treno superaffollato arrivo a Napoli Centrale (Piazza Garibaldi) alle ore 6.45. Dalla stazione in autobus fino al porto, dove al punto di imbarco comincia a cadere una pioggia torrenziale con tuoni che sembravano scoppi di bombe e fulmini che ci scoccavano intorno come flash di macchinette fotografiche.
           Agli sportelli file di persone per comprare i biglietti, chi per Capri, chi per Ischia, chi per Procida. Di fronte a noi la sagoma imponente del Castello Angioino mentre sentiamo la pioggia, mista a grandine, che martella la tettoia sotto la quale ci ripariamo. A un certo punto sotto la pioggia battente intravedo l'aliscafo per l'Isola di Procida, si sale a bordo, ma il mare e così mosso che fino all'ultimo il capitano è in dubbio se partire o no. Il mare è veramente grosso e le onde minacciano di farsi ancora più forti, mentre pioggia, lampi e tuoni continuano a imperversare.
           All'improvviso il Via! Il capitano ordina di chiudere le porte e l'aliscafo con uno scossone si stacca dal molo avviandosi verso l'uscita del porto. Passiamo di fronte a navi petroliere gigantesche, mentre a sinistra notiamo tra la foschia, la sagoma grigia di una enorme nave da guerra americana della NATO.
           Appena usciti dal porto di Napoli l'aliscafo proprio come un aereo che decolla manda al massimo i motori e si alza sull'acqua.
           Dopo alcuni istanti cominciamo a ballare: onde enormi ci sommergono quasi interamente, mentre dal finestrino mi accorgo che stiamo camminando in cima ad onde alte più di cinque o sei metri, l'aliscafo oscilla paurosamente piegandosi ora a destra ora tutto a sinistra; qualcuno comincia a sentirsi male - per alcuni attimi l'aliscafo riprende il suo assetto stabile e poi di nuovo una violenta ondata ci sbalza dal sedile. Comincio a preoccuparmi, e siccome sono seduto vicino alla porta di uscita, mi preparo mentalmente al peggio, ipotizzando cosa fare, nel caso un'onda più forte delle altre faccia rovesciare l'aliscafo. Intanto cominciamo a vedere Bagnoli, Nisida e poi Capo Miseno (che si chiama così dal nome dei compagni di Ulisse) poi dopo il lungo tragitto appare tra le nebbie, in lontananza l'Isola di Procida: sono felice perchè sono stato uno dei pochi che durante il viaggio non si è sentito male e che non ha avuto bisogno del sacchettino per rimettere. Quando sbarchiamo piove ancora forte, dopo tutto quel viaggio mi sento un pò confuso, e dopo aver chiesto delle indicazioni a qualcuno mi avvio verso Piazza Posta, facendo quasi un chilometro a piedi sotto la pioggia.

L'appuntamento

    Alle ore 9.00 ho appuntamento con Luigi Mazzella, arrivo con dieci minuti di anticipo. In questa piazza piove così tanto che non so dove ripararmi, dato che mettendomi interamente al coperto non lo avrei potuto vedere.
    Il tempo passa si fanno le 9.30, continua a piovere a dirotto, le 10.00, le 10.30 e Luigi non si vede.
    Dopo un viaggio simile, interamente bagnato, comincio a disperare. Telefono a casa dei parenti di Luigi ma di lui nessuna traccia, nè i genitori, nè gli altri parenti sanno dove sia. Decido allora di aspettare altri 10 minuti, ormai sicuro che Luigi non sia a Procida.
    In quel momento deluso di un viaggio così lungo e faticoso, mi viene una grandissima voglia di riprendere l'aliscafo per Napoli e ritornare a casa a S.Marinella subito.
    Intanto aveva smesso di piovere, e nel momento in cui stavo per ritornarmene a S.Marinella vedo apparire Luigi con una ragazza, che mi saluta candidamente come se nulla fosse successo e come se darsi un appuntamento per le ore 9.00 e presentarsi alle ore 11.00 fosse da queste parti la cosa più normale del mondo. Dimenticavo di dire che il Venerdì Santo all'Isola di Procida c'è l'evento più importante dell'anno La Processione, la cui organizzazione è a cura della Congrega dei Turchini; essa si snoda per tutte le vie dell'Isola, e vi partecipano non solo gli abitanti ma vengono tante persone sia da Napoli che dal resto dell'Italia ma anche stranieri e molti procidani immigrati all'estero tornano a Procida solo in questo giorno.
    Il Venerdì mattina, purtroppo a causa del maltempo. la processione che doveva uscire alle 7.00 non uscì.
    Siccome non avevo mai visto questa processione, Luigi fa di tutto per spiegarmi che cosa è, ma io non capisco bene.

Luigi

       La gente è delusa, c'è molta confusione, chi dice che la processione non si farà più, chi dice che sarà rinviata all'indomani. Luigi continua a parlarmi che la pioggia ha danneggiato i Misteri e io continuo a dirgli che non capisco cosa siano questi Misteri, lo capirò l'indomani!
      Sono stanchissimo e dopo essere stato a vedere l'ufficio di Luigi, lui mi accompagna a casa con la sua vespa (una specie di motocicletta molto diffusa in Italia).
       Il mio amico Luigi svolge in quest'isola il lavoro di Dottore Commercialista, è laureato a pieni voti all'università di Napoli, è molto bravo ma purtroppo i pochi clienti che frequentano il suo studio, pur essendo molto generosi, non lo pagano, gli promettono sempre di pagarlo domani, e poi alla fine si presentano a Pasqua o a Natale o in altre occasioni e gli regalano  dei conigli, delle galline, o grandissime torte e dolci.
       Allo studio di Luigi qualcuno si presenta anche a cavallo del proprio asino, lo lega all'ingresso dello studio e pretende di scaricarsi dalla denuncia dei redditi le spese di mantenimento del Ciuccio (nel meridione l'asino si chiama spesso ciuccio) proprio come se si trattasse di una automobile o di un trattore. Sto a sentire divertito e allo stesso tempo sorpreso che in Italia esistono ancora queste cose.
       Nel tragitto dallo studio alla casa di Luigi, che facciamo in vespa, ricomincia a piovere fortissimo, l'isola è molto lunga e quando arriviamo a casa, dopo quasi un quarto d'ora, sono ormai bagnato da cima a fondo. La casa è veramente la tipica casa da isola mediterranea di quelle che i un film si potrebbe credere che siano in Spagna , Grecia o Turchia, i muri esterni tutti bianchi, le scale all'aperto e poi le Piscine, cioè degli antichi serbatoi di raccolta delle acque piovane per poterle poi usare come acqua potabile. Luigi mi dice che suo zio che abita al piano di sopra e ha 90 anni, continua a b ere solo l'acqua delle piscine, rifiutando quella dell'acquedotto.
      Spunta di nuovo il sole, bello, caldo e raggiante nel cielo azzurro, andiamo un pò in giardino e rimango sorpreso dalle tantissime piante cariche di limoni e arance giganti. Luigi me ne mette molti in una grande busta contento e fiero che io me li porterò a casa al ritorno, come se mi avesse regalato un pezzetto di questa bella isola. Mi asciugo e il sole mi riscalda, mangiamo poco per pranzo: io due piccolissime mozzarelle tonde come due palline e bianche come il latte che si munge da queste parti, assaggio pure un pezzetto di formaggio parmigiano accompagnato con un pò di pane locale, che è il prodotto più buono di quest'isola. Nonostante la  quasi disperazione a cui mi aveva portato Luigi la mattina, lui è talmente bravo e premuroso nei miei confronti che non posso non scherzare anch'io sulla mia idea di ritornarmene a casa. Luigi esce, mentre io, stanchissimo me ne vado un pò a dormire, va a Napoli e poi ritorna la sera, ci diamo appuntamento alle 20.00. Non appena mi metto a letto crollo dalla stanchezza e mi addormento, mi sveglio solo quando Luigi  dopo avermi insistentemente chiamato comincia a bussare alla porta; sono le otto di sera, apro gli occhi, mi guardo intorno, non mi sono mai sentito così bene fresco e riposato come dopo aver fatto un sonno in quel letto, un sonno allietato da bei sogni.
    Tra le tante cose che pensiamo di fare per la sera, Luigi decide di farmi vedere l'Isola. In questa isola, che conta circa undicimila abitanti, si conoscono tutti, e continuamente quando si incrociano si salutano e si fanno dei cenni. Camminando per le strade strette, intravedo alti portoni di legno antico e massiccio, socchiusi, dai quali filtra la luce e si vede molta gente che si muove là dentro a preparare i Misteri, che la pioggia aveva in parte rovinato, mettendo a rischio il lavoro di tanti mesi di quella gente. Lavorano freneticamente e molti di loro lavoreranno tutta la notte per ripararli.
  
Al ristorante "La Medusa"

Mi rendo conto che qui la religione viene sentita in un modo particolarmente intenso e vissuta come un'esperienza collettiva o meglio corale. Me ne accorgo quando la sera decidiamo di andare al ristorante a cena e invece di essere contenti i proprietari ci rimproverano quasi, perchè il Venerdì si dovrebbe digiunare. Luigi vorrebbe digiunare ma alla fine gli faccio la proposta di non mangiar carne e arriviamo al compromesso di ordinare un bel piatto di Spaghetti con le vongole, e a malincuore si convince e mangia anche lui. Pasquale, il marito della proprietaria del ristorante "La Medusa" ci porta a tavola il miglior piatto di spaghetti con le vongole che abbia mai mangiato in vita mia.
    Pasquale aiuta saltuariamente la moglie, altrimenti è impiegato della Tirrenia, una grande società di navigazione. Gli abitanti di Procida, mi spiega Luigi, sono quasi tutti marinai, s'imbarcano per quattro o cinque mesi e guadagnano molto bene. Procida, continua Luigi, è l'isola meno frequentata dai turisti, la più vera, non c'è nemmeno un Hotel, nè un albergo, nè una pensione; inoltre i procidani non lasciano volentieri la loro isola, nemmeno per raggiungere la vicina città di Napoli, meglio ancora, afferma Luigi: "quando dico ai miei amici procidani di andare a Napoli, quelli si scocciano (scocciarsi in dialetto significa infastidirsi) è come se avessero le radici ai piedi! "
    Pasquale intanto ci serve un vino bianco locale, fresco al punto giusto. Finiti gli spaghetti intingiamo il pane nel sugo che è rimasto nel piatto, anche il pane è speciale.
    Di secondo io chiedo scampi, Luigi Seppie alla Casseruola, di contorno carciofi ripieni di mozzarella.
    Comincio a riflettere sull'architettura delle costruzioni di quest'isola: intanto le strade, molto strette, e poi molte case hanno un tipico balcone rientrante, con la parte superiore fatta ad arco, ma non a semicerchio, bensì ellittico. Le facciate delle case in genere sono bianche o colorate con colori che ricordano il rosa pastello, mentre in genere le porte sono di un azzurro molto intenso. Mi colpisce il fatto che queste case sono attaccate una all'altra, quasi come se non si trattasse di costruzioni ma di scultura ricavate da un unico blocco di roccia; esse formano un blocco compatto, in una sorta di allegro disordine, finestre di tutte le forme e tutte le grandezze e in queste costruzioni sono incastrate chiese e chiesette apparentemente piccole a vedersi da fuori, ma molto grandi e luminose una volta che vi si entra all'interno, tutte poi con belle cupole molto alte. Le strade non sono asfaltate ma hanno tutte un lastricato fatto con pietre vulcaniche squadrate, in genere di forma rettangolare di circa trenta centimetri per quaranta: i Basoli.

Le chiese dell'isola

     Tra le tante chiese una mi colpisce in particolare, quella sul porto, proprio a pochi metri dal mare. Non riesco a spiegarmi perchè questa chiesa attira la mia attenzione, non ha molto di particolare ma ricorda tanto quelle chiese che si vedono sugli atlanti geografici, costruite in Messico o nell'America del Sud, con quel tipico stile baroccheggiante. Mi colpisce anche l'asimmetria tra la chiesa e il campanile, il degrado dell'ingresso principale, recintato da alte ringhiere in ferro con un grosso cancello incardinati su delle colonne in muratura ormai storte,e con gli intonaci scrostati dal tempo, dall'erosione e dalla salsedine. Mi viene da chiedere da quanti 'secoli' in questa chiesa non si entra più dalla porta principale. Si entra invece da una porticella laterale. Cerco di spiegarmi perchè questa chiesa mi colpisce tanto, essa rievoca nella mia mente i ricordi sepolti di quando bambino tra i tre e i quattro anni andavo nelle chiese di Napoli, totalmente abbandonate all'esterno e molto belle dentro. E' sera, c'è la messa, c'è molta gente nella grande chiesa, i posti sono tutti occupati sullo sfondo un altare con moltissime candele, man mano che sento la messa rifletto su questa isola nella quale il senso del tempo scompare, qui sembra che la fretta non esista, c'è sempre tempo per fare tutto, nessuno corre.

La processione dei Misteri

        
Tornati a casa decidiamo di svegliarci l'indomani alla ore 7.00 per vedere la processione che esce, anche se poi il sonno e la stanchezza sono cos' forti che prima delle 9.00 non riusciamo ad uscire di casa.
        Ci dirigiamo verso un punto dove deve passare la processione. Aspettiamo quasi venti minuti finchè si sente il suono di una tromba che vagamente ricorda lo Shofar.
        Arriva la testa della processione e ora comincio a capire cosa sono i Misteri. Molti gruppi di ragazzi e uomini di questa isola si riuniscono segretamente e preparano delle rappresentazioni della vita di Gesù, e creano delle vere e proprie scene su appositi palchi più o meno grandi e del peso che va dalle poche decine di chili fino a parecchi quintali. I gruppi sono molti e quindi in processione sfilano tantissimi Misteri, lì dove siamo noi quando la processione finisce di passare è trascorsa più di un'ora. Ci sono bambini anche molto piccoli e tutti i partecipanti alla processione hanno un costume bianco e azzurro che contraddistingue la Confraternita dei Turchini, alla quale è demandato il compito di organizzare la processione del Venerdì Santo.

    Decine e decine di gruppi continuano a sfilare, ognuno porta un Mistero ad esempio l'Ultima Cena, o la deposizione del Cristo Morto. In ultimo arrivano gli angioletti a lutto, bambini piccolissimi vestiti tutti di nero e ricoperti di catenine e monili di oro vero, tanto oro e tanti bambini, e il Cristo Morto che viene trasportato.


Epilogo

     La processione continua fino al porto, dopo di che i gruppi si sciolgono, al porto di nuovo mi colpisce la forma di quella chiesa baroccheggiante, quasi Kitsch si potrebbe definire. La sera, col fresco, usciamo Luigi mi presenta tante persone, in questa isola tutti hanno i capelli nerissimi e molti la pelle olivastra, con la tipica fisionomia araba. Arriviamo al porto, la chiesa è illuminata all'interno e mentre Luigi parla con degli amici io entro. L'aspetto di questa chiesa è disarmonico e contrasta in pieno con la semplice bellezza interno. Rifletto ancora sul senso della religiosità di questi isolani, mi rendo conto che qui la religione fa parte di tutto il vivere quotidiano, rimango incantato a sentire la messa tra quella gente così composta e dignitosa. Mi accorgo che la distanza da dove abito io, e questa isola, non è tanto una distanza fisica, ma è una grandissima distanza psicologica e temporale: qui a Procida si vive in un'altra dimensione. Luigi dice che qui a distanza di pochi chilometri il dialetto cambia molto e quindi il dialetto dell'Isola di Procida è diverso da quello di Napoli o Pozzuoli.
    A Procida quando la gente sente dire che io sono di Napoli credono che io scherzi, eppure da piccolo parlavo un dialetto molto simile al loro, ed ora non solo non ne sono più capace, ma non li capisco nemmeno se essi parlano in dialetto.
     
Gesù, portalo con te!
 Tornai a casa. Tempo dopo a Santa Marinella rividi Luigi di sfuggita insieme alla sua ragazza che si chiamava Cira, era preoccupato perché non riusciva a trovare una sistemazione. Io invece ricevetti un telegramma col quale venivo comandato di andare a prendere servizio in Toscana entro 24 ore, dove mi trasferii e  così ci perdemmo di vista. Solo molto tempo dopo venni a sapere che Luigi, come tanti altri giovani, aveva perso la vita in un terribile incidente stradale, durante uno degli innumerevoli viaggi tra Civitavecchia e Procida ALLA RICERCA DI SE STESSO E DI UN LAVORO.

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