media comunicazioni cinema radar Marconi Pio XII Pius XII Rossellini Bassani Santa Marinella Hitler Mussolini Garibaldi Barbarossa Lepanto Elettra Yad Vashem Marchione
sabato 29 giugno 2013
mercoledì 26 giugno 2013
ANITA GARIBALDI - Cittadina Onoraria di NIZZA - 4 luglio 2013
COMUNICATO
Livio Spinelli – Addetto Stampa di Anita Garibaldi
CITTADINANZA ONORARIA DI NIZZA ad
ANITA GARIBALDI il 4 LUGLIO
Nizza prima città italiana di Francia:
si unirà a Cuneo per formare la prima
metropoli transfrontaliera d’Europa
Anita Garibaldi, pronipote
dell’Eroe dei due Mondi e Presidente dell’omonima Fondazione, riceverà dal
Sindaco di Nizza, Christian Estrosi la cittadinanza onoraria, il prossimo 4
luglio. La notizia è pervenuta in via ufficiale con una lettera dalla
Municipalità, insieme al programma di tre giorni di festeggiamenti a partire dalle
ore 18 del 4 luglio, nelle prestigiose sale del Museo di Villa Massena, un vero
e proprio Sacrario di Garibaldi, sulla Promenade des Anglais, che custodisce anche
la gloriosa spada - l'arme di sopra
all'origliere, che al vacillar della lucerna splende, di dannunziana
memoria - portata da Garibaldi nella spedizione dei Mille fino all'entrata
trionfale di Napoli, alla battaglia del Volturno, e sulla strada di Teano quando
- con essa luccicante al sole - salutò Re Vittorio Emanuele. Tra i ritratti, spicca
quello del Garacci a grandezza naturale con Garibaldi in camicia rossa,
pantaloni grigi e stivali, poggiato ad una roccia all'entrata del porto di
Nizza che addita una carta coi contorni di Caprera. Un altro della contessa
Carburino: bella testa romantica dai lunghi capelli biondi, barba prolissa,
sguardo luminoso, cappelletto rotondo di feltro adorno di piume. Un terzo dello Zipol, infine il quarto, donato da
Garibaldi al suo fedele amico, il maggiore Rovighi, di profilo, con le larghe
spalle coperte da una scialle a righe, gli occhi semichiusi lo sguardo che si
perde lontano. Due busti del Bonardel in marmo, di cui uno nudo, un berretto
ricamato, alcune ciocche di capelli e il fazzoletto da collo portato nella
Campagna dei Vosgi del 1871. Villa Massena
racconta la storia di Nizza e
della Costa Azzurra dal XIX sec. alla II G.M., con gli ambienti originali della
Belle Epoque, la Grande Galérie, la biblioteca, la sala da pranzo, e il grande
salone. I festeggiamenti si concluderanno il 6 luglio coi Garibaldini in
Camicia Rossa ospiti del Consolato Generale d’Italia, e raduno alle ore 14.30
alla Prefettura di Nizza per sfilare fino a Piazza Garibaldi, con la deposizione
delle corone. Animeranno la manifestazione la banda di Torino e gli
sbandieratori della Juventus. Le cerimonie si concluderanno con la messa delle
17.30 alla Chiesa di St. Augustin dove fu battezzato Giuseppe Garibaldi. La
cittadinanza onoraria ad Anita cade in un momento storico per l’Europa perché
Nizza, dice il Sindaco Estrosi, “è la prima città italiana di Francia, e stiamo
lavorando insieme a Cuneo alla creazione della prima Metropoli transfrontaliera
in accordo con Bruxelles, infatti la commissione europea e l'UE stanno per
creare lo statuto delle Euro-Metropoli e Nizza è la prima.”
Comitato degli Italiani
all’Estero della Circoscrizione
Consolare di Nizza
SAMEDI 6 juillet
2013
HOMMAGE à Giuseppe
GARIBALDI
PROJET:
10,30h Consulat Général d’Italie : rencontre avec Madame
Anita Garibaldi
dans le Salon « G. Garibaldi ».
12h Buffet – déjeuner
sur réservation au prix de 10 €. (Réservation au COMITES tél. 0492151520 et/ou
sur place).
Aubade dans le jardin du
Consulat par la bande « Giuseppe Verdi » de Vinovo (Turin).
14h 30 DEFILE :
Départ de place de Palais de Justice avec la bande
« Giuseppe Verdi » et les lanceurs des drapeaux de Vintimille.
PARCOURS :
Plaque à Niccolo’ Paganini – place Antoine Gauthier – Quai des Etats-Unis – Rauba Capeu
– Port (maison de G. Garibaldi) – place du Pin.
16h ARRIVEE :
Place
Garibaldi avec hommage au héros Niçois.
17h 30 Messe à l’église St.
Augustin ou fut baptisé Giuseppe Garibaldi
en 18.07.
Fin
72, Bd Gambetta
– 06000 NICE – France
MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, Lois italiennes du 23-10-2003
N°286 - ASSOCIATION LOI 1901 – SIRET 514 108 380 00015 - CODE APE 9499Z
domenica 23 giugno 2013
Biennale di Venezia - Ombretta Del Monte - " Dio Artista Folle della Nostra Vita "
Dio Artista Folle
della Nostra Vita
Dio folle artista di questo mondo che sembra un quadro capovolto,
dove tutto nasce senza una spiegazione, senza un perché … come l’arte che non
si spiega, che non sappiamo a cosa serve e che cos’è e allora nel primordiale
impulso dell’uomo che guarda il Cielo e alzandosi su se stesso diventa
esploratore del mistero che annusa e entra pian piano dentro le sue narici, nei
suoi pori, nella sua mente e lì intuisce la Grandezza, l’Immensità della
Scienza e Coscienza che diventano fari e ali per volare oltre il mondo che non
si vede, ma che si percepisce in quel
Dio che non sai il suo nome, ma che ha dipinto il cosmo e la vita dell’uomo con
mille colori e multiformi segni. Vedere la Sua Mano Creativa in ogni opera d’Arte, perché ogni
vera opera d'arte v'è sempre infatti una Ispirazione che la fa essere tale.
Egli "contempla" il Bello; quella realtà che coglie presente dentro
di se e, contemporaneamente, assolutamente distinta da se.
Io credo veramente che Lui sia Folle! Lo
credo per i colori che ci ha donato, lo credo per il dono della Vita e del
Creato, lo credo per il Bene e il Male che esiste su questa Terra, perché anche
il Male fa parte dell’Amore e della Vita.
"L'artista è in qualche modo simile al
Santo" Affermava S. Chiara e lei si
che conosceva un grande artista: S.Francesco, lui amico degli animali, degli uccelli, degli
alberi e dei boschi e parlava sempre con le api, che volavano da un fiore
all'altro e con i coniglietti, che saltellavano allegramente con i loro
fratellini. Gli uccelli lo capivano e non avevano paura, cinguettavano e
pigolavano a guisa di risposta, quando lui parlava a loro. Quando lo vedevano
arrivare, gli andavano incontro, cantando i loro dolci e bei canti.
E' Lui, Dio che feconda l'artista, è Lui l'Armonia cui
attinge ogni artista. E' attraverso questo Amore, che conosce la Bellezza
"dal di dentro", che il Bello prende forma in seno all'anima
dell'artista e diviene Opera d'arte.
Immaginare
un artista "non credente" o "ateo" è praticamente un
assurdo! Anche per chi si dichiara ateo, in lui c è l’arte di Dio e come lui "genera"
bellezza; come Dio che è Bellezza, e che ha generato ogni bellezza, riassumendo
tutto nel suo Verbo, la Sua più autentica "espressione".
L’incanto estetico dell’opera è
il mezzo attraverso il quale l’uomo si avvicina a Dio; l’arte è “itinerario
della mente a Dio”
La creazione artistica, pertanto, anche solamente da
questo punto di vista, è un dono: un atto d'amore. Come avviene per un padre ed
una madre che danno alla luce un figlio.
L'artista, infatti, è qualcuno che in un modo del
tutto particolare fa esperienza del trascendente. Egli può capire Dio, per
esperienza, come nessun altro, eccetto i Santi.
Traduce in arte il bisogno fondamentale
dell’uomo, ossia di rispondere alla realtà che lo interroga fin dalle sue
viscere per giungere all’intelletto. E la sua risposta è l’arte, qualunque essa
sia, purché risponda all’inquietudine dell’uomo, il volere com-prendere qual è
il senso della sua vita.
Se a questo mondo è infatti
difficile restare immuni dal male e non contaminarsi con esso ciò diviene
motivo di atroce sofferenza per tutti coloro che, come gli artisti, possiedono
un senso così assoluto e trascendente della bellezza e dell'armonia, di cui
sono testimoni con le loro stesse "opere".
L’arte vera è la vita, l’alito che dona lo
spirito, l’idea che nutre la mente, il gesto che il corpo attende, la forma che
comunica all’uomo che Dio è anche visibile e che attende di vedere con occhi
spirituali per contemplarlo per l’eternità. Quando il Vero, il Bello e il Buono
si renderanno presenti, l’artista saprà che quanto andava cercando,
quanto voleva riprodurre e quanto aveva comunicato era vero, bello e buono,
come la luce di Dio - allo splendore del l’opera dell’artista.
Ognuno può pensare nella
propria libertà. Si può stare con Gesù, con Shiller, Platone, San Francesco
d’Assisi o con Spinoza, ma ovunque la saggezza ci insegna che né il potere, né
il denaro rendono felici.
Solo l’Amore, che è folle e senza barriere, senza briglie che
corre come un destriero nelle linfe del nostro corpo, che ti da la spinta e il
Coraggio di dire la Verità, perché L’Amore va perseguito attraverso la Verità,
quella Verità che ti rende libero di fare le scelte, di liberare l’oppresso
dall’oppressore, il disabile dalla disabilità, di vedere la prostituta come
l’angelo del focolare, di vedere l’africano rivestito di pelle rosea come
quella di un bambino e vedere la Follia
di Dio in te e in ognuno di loro.
Uno strano, ma semplice segreto di tutte le
epoche ci dice che ogni sia pur minima altruistica simpatia e dedizione, ogni
atto d’amore ci porta verso l’alto, verso l’infinito. Mentre ogni sforzo di
conquistare il potere ci deprime, debilita e impoverisce. Quindi una pura
follia! Eppure ce l’hanno insegnato gli Indiani, i Greci e poi il Figlio di
Dio: Gesù! E dopo di lui altre migliaia di anime sagge di poeti, di pazzi che hanno lasciato i loro
pensieri e le loro opere oltre le epoche, oltre i regni e i palazzi scomparsi
dei Re e dei Dittatori.
Questa Vita che è piena di Contrasti, ma
maledettamente merita dì essere Vissuta dai nostri passi, dal Nostro Cuore.
Questo luna park che brilla di giorno e si
alterna all’oscurità della notte, la
calma del lago all’’irruenza del mare, il freddo che gela le ossa e il sole che
scalda le membra. Il bambino che gioca col nonno: il nuovo che s’alterna al
Vecchio! E cosa dire di un uomo e una donna che passan la vita insieme? Cosa
c’è di più strano dell’unione di una donna e un uomo? Così diversi nella mente
e nel corpo da sembrare un dipinto di Pollock! Eppure questo accade, eppure è
la Storia della nostra Umanità che rimane incomprensibile ai migliori critici
d’arte, persino a quel folle di Dio che pena per il Cuore di un semplice uomo!
Ombretta Del
Monte
Civitavecchia
giovedì 20 giugno 2013
sabato 15 giugno 2013
Il Dottor Pietro Valdoni, il Chirurgo che salvò Palmiro Togliatti dopo l'attentato
Il medico di
Giovanni XXIII, che salvò la vita a Togliatti,
trascorreva
le vacanze a Santa Marinella
Livio Spinelli
Pietro Valdoni, operò,
salvandogli la vita,
Palmiro Togliatti,
ferito alla testa da un attentatore.
Ma quando Togliatti
ricevette la parcella la trovò salata,
e accompagnò il
pagamento con queste parole:
“Eccole il saldo, ma è denaro rubato ….”
Valdoni rispose:
“Grazie per l'assegno ma
la provenienza… non mi interessa”.
(Indro Montanelli)
Con questa battuta di
Indro Montanelli iniziava pochi giorni fa una trasmissione per rievocare il
prossimo 60° anniversario dell’attentato a Palmiro Togliatti del 14 luglio
1948, con Ettore della Giovanna che intervistava Pietro Valdoni, il medico di
Papa Giovanni XXIII, che salvò la vita a Togliatti. Erano citati alcuni brani
del libro di Giorgio Bocca su Togliatti e il capitolo in cui narra quando “il
Migliore” veniva a Santa Marinella a rendere omaggio a donna Camilla Ravera.
Anche il Professor Valdoni tuttavia era di casa – anzi aveva una casa a Santa
Marinella – avendo sposato Primavera (Vera) Gioconda Lodi, che tutti chiamavano
Pripri, nipote di due famosi giornalisti: Luigi e Olga Lodi, pionieri della
perla del Tirreno. Dalla terrazza della
villa di Nelida Malgeri con uno scorcio di Santa Marinella, compare il
professor Pietro Valdoni che tiene
circolo fra alcune belle signore, e parla arrotando un poco l'erre con un lieve
accento veneto. La telecamera scruta
le sue mani forti e sottili, con unghie di un disegno marcato, e polpastrelli a
piccola rotondità propri di chi ha sviluppatissimo il senso del tatto: sembrano
le mani di un musicista. Sorride spesso, mostrando una dentatura bianca e
perfetta. Ha l'aria molto soddisfatta, perché parla dei suoi sei nipotini e
racconta: “L'altro ieri. ho pescato
quarantadue aragoste. E la settimana scorsa ne ho pescate trentasei.“ Poi
tace per un momento, per dare libero sfogo alle esclamazioni di ammirazione
dei presenti. La padrona di casa, cortesissima e affettuosa, domanda: “Quante ne hai pescate?” E Valdoni non
esita a ripetere: “L'altro ieri, quarantadue, e la settimana scorsa, trentasei. Ho qui in
casa sei nipotini da sfamare, e debbo pur procurare il pesce per loro. Le
aragoste si pescano là dove il mare sembra più chiaro e anche più opaco, nella
luce della luna, c'è una secca. Ma, ammette sono stato fortunato. C'era stato
tempo cattivo, allora la pesca è stata buona. Bisogna sempre pescare le
aragoste dopo il cattivo tempo, perché le acque sono ancora torbide, e le aragoste
non vedono, col bel tempo non si prende nulla. ! Le aragoste si pescano col tramaglio, che è
una rete di fondo: entrano nella rete, e poi si tira su. Io le so anche
cucinare”, Nelida annuisce e Valdoni allora descrive l'operazione di cottura delle aragoste, che non è
priva di crudeltà: “Eh, sì, bisogna metterle
nell'acqua bollente quando sono ancora vive, tuttavia dopo poco che sono
pescate hanno perduto molta della loro sensibilità, sono intontite.“ Un’altra
signora gli domanda se egli si è specializzato in aragoste, poiché sembra che
sappia tutto sull'argomento e il dottor Valdoni ride e dice: “ No vado a pesca anche con la coffa”. Il
silenzio con cui l'affermazione è accolta, è quello caratteristico di una
curiosità, di chi non osa neppure porre una domanda per timore di deviare il
discorso. “ La coffa è un attrezzo da
pesca molto semplice, è una corda lunga anche tre o quattro chilometri dalla
quale si dipartono, a intervalli regolari, tante cordicelle lunghe un metro
circa: all'estremità di queste cordicelle c'è l'amo con l'esca. L'esca è
importante occorrono le sardine. Prima di uscire con la coffa, esce la
cenciolla, una grossa barca seguita da tre barchini, vanno al largo, di notte,
e tendono una rete a semicerchio, a forma di sacca aperta da un lato. Poi illuminano il mare, anche se la cenciolla non è una lampara, perché ha un sistema diverso di produrre l'energia
elettrica a bordo, con un gruppo elettrogeno azionato da un motore a nafta che
fa tuf‑tuf... La cenciolla pesca le sardine che, attratte dalla luce, si
infilano nella rete. Quando il banco di sarde è entrato nella rete, le quattro
barche si avvicinano, si stringono, chiudono
l'orifizio della rete e tirano
su. A Santa Marinella c'è una sola
cenciolla, e una volta ha preso due quintali di sarde, ma è stata la sola pesca buona.” Valdoni che
ha molti amici tra i pescatori di Santa Marinella, continua a raccontare: “Qui la chiamano la coffa ma si chiama palàngaro. Ad ogni amo
all’estremità di quelle tali cordicelle, si attacca una mezza sarda, e poi si
cammina, lasciandosi dietro la coffa. Quando si è giunti alla fine, si torna indietro, e si tira su. Sì, subito, è
una pesca rapida, perché il pesce, o abbocca subito, o non abbocca più, e poi
la sarda infilata sull'amo non resiste più di un’ora o due. Le pulci di mare
se la mangiano “. Valdoni dice che pesca un po' di tutto, ma non mangia
pesci, non gli piacciono, e allora
afferma convinto: “Qui a Santa Marinella
pesco anche il pesce più bello del mondo. E' l'occhiata, ed è stupenda. Come lo
posso descrivere? Immaginate una signorina, è una deliziosa signorina,
elegante, delicata, giovane, fresca. Insomma, se io devo immaginare il pesce
ideale, se dovessi disegnare un pesce, un animale che mi desse meglio di ogni
altro l'idea del pesce, disegnerei l'occhiata. E' fine, argentea, con una macchiolina
nera sul peduncolo della coda, non è buona da mangiare, ma è bella”. A
sentirlo, si direbbe che è professore di ittiologia, invece che di clinica
chirurgica, ma non parla soltanto di pesca, è al corrente dei fatti del mondo,
della politica italiana e degli affari internazionali. Conosce i personaggi
più illustri di quasi tutti i Paesi ed i suoi giudizi sono sempre amabili ma
acuti, parla di Kennedy, Togliatti, Giovanni XXIII, Paolo VI, di Cuba e del
Vietnam. Poi la curiosità dell’intervistatore passa alla tavola, chiedendo al
professor Valdoni cosa mangia per poter
lavorare con tanto vigore e mantenere quel suo aspetto giovanile dell’uomo
in perfette condizioni di salute. E'
presto detto: mangia appena una volta il giorno, da anni e anni, da sempre. La
mattina, alle sei e mezza, prende alcune tazze di tè senza un biscotto, senza
un crostino, nulla. Poi, durante tutto il giorno, durante le molte e lunghe ore
in sala operatoria e in clinica, non mangia neppure un panino, quando si dice
nulla, è nulla, beve solo qualche caffé, pochi, e parecchie bottiglie di Coca‑Cola.
La sera alle sette, inizia le visite dei Pazienti nello studio privato, e
chiude la giornata, di solito, verso le dieci e mezza; allora consuma il suo
unico pasto, duecento grammi di carne, insalate, verdure e frutta. Non va
subito a letto, lavora ancora un’ora o due, o intorno agli scritti scientifici,
o per sbrigare la corrispondenza, e si addormenta verso mezzanotte e mezza per
dormire le sue sei ore, non di più,
semmai di meno. La domenica mangia gli spaghetti. Beve ? “Sì, un
po' di vino ai pasti, due o tre bicchieri”. “Fuma?” - chiede Ettore della Giovanna – “ Si “ confessa Valdoni “mi
piace fumare”, mentre una elegante signora accanto a lui ribatte, con tono
incoraggiante: «Ma fumerà pochissimo. Poche
sigarette il giorno... » Valdoni si fa serio e risponde: “ No, fumo abbastanza “ Ma non
dice quante sigarette il giorno, e
nessuno glielo chiede. In questo momento Pietro Valdoni è il chirurgo ideale, lo scienziato ideale, per
le signore è forse anche l’uomo ideale, famoso, dotato di qualità eccezionali,
buono, generoso, e saremmo più soddisfatti se ci dicesse che non fuma. E’
difficile resistere alla tentazione del mito che nasce spontaneo
dall’ammirazione, e che rischia quasi sempre di naufragare nei luoghi comuni
della nostra immaginazione. Allora bisogna trovargli un difetto: corre troppo
in automobile. Nel traffico dell’Aurelia fila via al volante della sua Alfa
Romeo, e semina quasi la troupe televisiva. Quando finalmente arrivano a Santa
Marinella e glielo fanno notare, lui risponde: “Ma se andavo piano, appunto perché voi mi seguivate e non volevo che mi
perdeste di vista.” Male! Molto male! Professore, conclude sorridendo
l’intervistatore mentre dietro di loro scorrono le immagini di una sfilata di
Alta Moda allo Sporting Club di Santa Marinella.
domenica 9 giugno 2013
L’ISOLA DI PROCIDA - Procida Island - a LUIGI MAZZELLA DI BOSCO
A Luigi Mazzella di Bosco
al
quale voglio bene
come
un fratello
più
piccolo
Livio Spinelli
Partenza
Sono partito da Santa Marinella alle
ore 3.05 di notte. Ho lasciato l'automobile alla stazione FF.SS. di Civitavecchia,
partendo con il treno delle 3.36. Dopo un viaggio in piedi da Civitavecchia a
Napoli in un treno superaffollato arrivo a Napoli Centrale (Piazza Garibaldi)
alle ore 6.45. Dalla stazione in autobus fino al porto, dove al punto di
imbarco comincia a cadere una pioggia torrenziale con tuoni che sembravano
scoppi di bombe e fulmini che ci scoccavano intorno come flash di macchinette
fotografiche.
Agli sportelli file di persone per
comprare i biglietti, chi per Capri, chi per Ischia, chi per Procida. Di fronte
a noi la sagoma imponente del Castello Angioino mentre sentiamo la pioggia,
mista a grandine, che martella la tettoia sotto la quale ci ripariamo. A un
certo punto sotto la pioggia battente intravedo l'aliscafo per l'Isola di
Procida, si sale a bordo, ma il mare e così mosso che fino all'ultimo il
capitano è in dubbio se partire o no. Il mare è veramente grosso e le onde
minacciano di farsi ancora più forti, mentre pioggia, lampi e tuoni continuano
a imperversare.
All'improvviso il Via! Il capitano
ordina di chiudere le porte e l'aliscafo con uno scossone si stacca dal molo
avviandosi verso l'uscita del porto. Passiamo di fronte a navi petroliere
gigantesche, mentre a sinistra notiamo tra la foschia, la sagoma grigia di una
enorme nave da guerra americana della NATO.
Appena usciti dal porto di Napoli
l'aliscafo proprio come un aereo che decolla manda al massimo i motori e si
alza sull'acqua.
Dopo alcuni istanti cominciamo a
ballare: onde enormi ci sommergono quasi interamente, mentre dal finestrino mi
accorgo che stiamo camminando in cima ad onde alte più di cinque o sei metri,
l'aliscafo oscilla paurosamente piegandosi ora a destra ora tutto a sinistra;
qualcuno comincia a sentirsi male - per alcuni attimi l'aliscafo riprende il
suo assetto stabile e poi di nuovo una violenta ondata ci sbalza dal sedile.
Comincio a preoccuparmi, e siccome sono seduto vicino alla porta di uscita, mi
preparo mentalmente al peggio, ipotizzando cosa fare, nel caso un'onda più forte
delle altre faccia rovesciare l'aliscafo. Intanto cominciamo a vedere Bagnoli,
Nisida e poi Capo Miseno (che si chiama così dal nome dei compagni di Ulisse)
poi dopo il lungo tragitto appare tra le nebbie, in lontananza l'Isola di
Procida: sono felice perchè sono stato uno dei pochi che durante il viaggio non
si è sentito male e che non ha avuto bisogno del sacchettino per rimettere.
Quando sbarchiamo piove ancora forte, dopo tutto quel viaggio mi sento un pò
confuso, e dopo aver chiesto delle indicazioni a qualcuno mi avvio verso Piazza
Posta, facendo quasi un chilometro a piedi sotto la pioggia.
L'appuntamento
Alle ore 9.00 ho appuntamento con Luigi
Mazzella, arrivo con dieci minuti di anticipo. In questa piazza piove così
tanto che non so dove ripararmi, dato che mettendomi interamente al coperto non
lo avrei potuto vedere.
Il tempo passa si fanno le 9.30, continua a
piovere a dirotto, le 10.00, le 10.30 e Luigi non si vede.
Dopo un viaggio simile, interamente
bagnato, comincio a disperare. Telefono a casa dei parenti di Luigi ma di lui
nessuna traccia, nè i genitori, nè gli altri parenti sanno dove sia. Decido
allora di aspettare altri 10 minuti, ormai sicuro che Luigi non sia a Procida.
In quel momento deluso di un viaggio così
lungo e faticoso, mi viene una grandissima voglia di riprendere l'aliscafo per
Napoli e ritornare a casa a S.Marinella subito.
Intanto aveva smesso di piovere, e nel
momento in cui stavo per ritornarmene a S.Marinella vedo apparire Luigi con una
ragazza, che mi saluta candidamente come se nulla fosse successo e come se
darsi un appuntamento per le ore 9.00 e presentarsi alle ore 11.00 fosse da
queste parti la cosa più normale del mondo. Dimenticavo di dire che il Venerdì
Santo all'Isola di Procida c'è l'evento più importante dell'anno La Processione, la cui organizzazione è
a cura della Congrega dei Turchini; essa si snoda per tutte le vie dell'Isola,
e vi partecipano non solo gli abitanti ma vengono tante persone sia da Napoli
che dal resto dell'Italia ma anche stranieri e molti procidani immigrati
all'estero tornano a Procida solo in questo giorno.
Il Venerdì mattina, purtroppo a causa del
maltempo. la processione che doveva uscire alle 7.00 non uscì.
Siccome non avevo mai visto questa
processione, Luigi fa di tutto per spiegarmi che cosa è, ma io non capisco
bene.
Luigi
La gente è delusa, c'è molta confusione,
chi dice che la processione non si farà più, chi dice che sarà rinviata
all'indomani. Luigi continua a parlarmi che la pioggia ha danneggiato i Misteri e io continuo a dirgli che non
capisco cosa siano questi Misteri, lo
capirò l'indomani!
Sono stanchissimo e dopo essere stato a
vedere l'ufficio di Luigi, lui mi accompagna a casa con la sua vespa (una
specie di motocicletta molto diffusa in Italia).
Il mio amico Luigi svolge in quest'isola
il lavoro di Dottore Commercialista, è laureato a pieni voti all'università di
Napoli, è molto bravo ma purtroppo i pochi clienti che frequentano il suo
studio, pur essendo molto generosi, non lo pagano, gli promettono sempre di
pagarlo domani, e poi alla fine si presentano a Pasqua o a Natale o in altre
occasioni e gli regalano dei conigli,
delle galline, o grandissime torte e dolci.
Allo studio di Luigi qualcuno si
presenta anche a cavallo del proprio asino, lo lega all'ingresso dello studio e
pretende di scaricarsi dalla denuncia dei redditi le spese di mantenimento del Ciuccio (nel meridione l'asino si chiama
spesso ciuccio) proprio come se si trattasse di una automobile o di un trattore.
Sto a sentire divertito e allo stesso tempo sorpreso che in Italia esistono
ancora queste cose.
Nel tragitto dallo studio alla casa di
Luigi, che facciamo in vespa, ricomincia a piovere fortissimo, l'isola è molto
lunga e quando arriviamo a casa, dopo quasi un quarto d'ora, sono ormai bagnato
da cima a fondo. La casa è veramente la tipica casa da isola mediterranea di
quelle che i un film si potrebbe credere che siano in Spagna , Grecia o
Turchia, i muri esterni tutti bianchi, le scale all'aperto e poi le Piscine, cioè degli antichi serbatoi di
raccolta delle acque piovane per poterle poi usare come acqua potabile. Luigi
mi dice che suo zio che abita al piano di sopra e ha 90 anni, continua a b ere
solo l'acqua delle piscine, rifiutando quella dell'acquedotto.
Spunta di nuovo il sole, bello, caldo e
raggiante nel cielo azzurro, andiamo un pò in giardino e rimango sorpreso dalle
tantissime piante cariche di limoni e arance giganti. Luigi me ne mette molti
in una grande busta contento e fiero che io me li porterò a casa al ritorno,
come se mi avesse regalato un pezzetto di questa bella isola. Mi asciugo e il
sole mi riscalda, mangiamo poco per pranzo: io due piccolissime mozzarelle
tonde come due palline e bianche come il latte che si munge da queste parti,
assaggio pure un pezzetto di formaggio parmigiano accompagnato con un pò di
pane locale, che è il prodotto più buono di quest'isola. Nonostante la quasi disperazione a cui mi aveva portato
Luigi la mattina, lui è talmente bravo e premuroso nei miei confronti che non
posso non scherzare anch'io sulla mia idea di ritornarmene a casa. Luigi esce,
mentre io, stanchissimo me ne vado un pò a dormire, va a Napoli e poi ritorna
la sera, ci diamo appuntamento alle 20.00. Non appena mi metto a letto crollo
dalla stanchezza e mi addormento, mi sveglio solo quando Luigi dopo avermi insistentemente chiamato comincia
a bussare alla porta; sono le otto di sera, apro gli occhi, mi guardo intorno,
non mi sono mai sentito così bene fresco e riposato come dopo aver fatto un
sonno in quel letto, un sonno allietato da bei sogni.
Tra le tante cose che pensiamo di fare per
la sera, Luigi decide di farmi vedere l'Isola. In questa isola, che conta circa
undicimila abitanti, si conoscono tutti, e continuamente quando si incrociano
si salutano e si fanno dei cenni. Camminando per le strade strette, intravedo
alti portoni di legno antico e massiccio, socchiusi, dai quali filtra la luce e
si vede molta gente che si muove là dentro a preparare i Misteri, che la pioggia aveva in parte rovinato, mettendo a rischio
il lavoro di tanti mesi di quella gente. Lavorano freneticamente e molti di
loro lavoreranno tutta la notte per ripararli.
Al ristorante "La Medusa"
Mi rendo conto
che qui la religione viene sentita in un modo particolarmente intenso e vissuta
come un'esperienza collettiva o meglio corale. Me ne accorgo quando la sera
decidiamo di andare al ristorante a cena e invece di essere contenti i
proprietari ci rimproverano quasi, perchè il Venerdì si dovrebbe digiunare.
Luigi vorrebbe digiunare ma alla fine gli faccio la proposta di non mangiar
carne e arriviamo al compromesso di ordinare un bel piatto di Spaghetti con le vongole, e a malincuore
si convince e mangia anche lui. Pasquale, il marito della proprietaria del
ristorante "La Medusa" ci porta a tavola il miglior piatto di
spaghetti con le vongole che abbia mai mangiato in vita mia.
Pasquale aiuta saltuariamente la moglie,
altrimenti è impiegato della Tirrenia,
una grande società di navigazione. Gli abitanti di Procida, mi spiega Luigi,
sono quasi tutti marinai, s'imbarcano per quattro o cinque mesi e guadagnano
molto bene. Procida, continua Luigi, è l'isola meno frequentata dai turisti, la
più vera, non c'è nemmeno un Hotel, nè un albergo, nè una pensione; inoltre i
procidani non lasciano volentieri la loro isola, nemmeno per raggiungere la
vicina città di Napoli, meglio ancora, afferma Luigi: "quando dico ai miei amici procidani di
andare a Napoli, quelli si scocciano (scocciarsi in dialetto significa infastidirsi)
è come se avessero le radici ai piedi!
"
Pasquale intanto ci serve un vino bianco
locale, fresco al punto giusto. Finiti gli spaghetti intingiamo il pane nel
sugo che è rimasto nel piatto, anche il pane è speciale.
Di secondo io chiedo scampi, Luigi Seppie alla Casseruola, di contorno
carciofi ripieni di mozzarella.
Comincio a riflettere sull'architettura
delle costruzioni di quest'isola: intanto le strade, molto strette, e poi molte
case hanno un tipico balcone rientrante, con la parte superiore fatta ad arco,
ma non a semicerchio, bensì ellittico. Le facciate delle case in genere sono
bianche o colorate con colori che ricordano il rosa pastello, mentre in genere
le porte sono di un azzurro molto intenso. Mi colpisce il fatto che queste case
sono attaccate una all'altra, quasi come se non si trattasse di costruzioni ma
di scultura ricavate da un unico blocco di roccia; esse formano un blocco
compatto, in una sorta di allegro disordine, finestre di tutte le forme e tutte
le grandezze e in queste costruzioni sono incastrate chiese e chiesette
apparentemente piccole a vedersi da fuori, ma molto grandi e luminose una volta
che vi si entra all'interno, tutte poi con belle cupole molto alte. Le strade
non sono asfaltate ma hanno tutte un lastricato fatto con pietre vulcaniche
squadrate, in genere di forma rettangolare di circa trenta centimetri per
quaranta: i Basoli.
Le chiese dell'isola
Tra le tante chiese una mi colpisce in
particolare, quella sul porto, proprio a pochi metri dal mare. Non riesco a
spiegarmi perchè questa chiesa attira la mia attenzione, non ha molto di
particolare ma ricorda tanto quelle chiese che si vedono sugli atlanti
geografici, costruite in Messico o nell'America del Sud, con quel tipico stile
baroccheggiante. Mi colpisce anche l'asimmetria tra la chiesa e il campanile,
il degrado dell'ingresso principale, recintato da alte ringhiere in ferro con
un grosso cancello incardinati su delle colonne in muratura ormai storte,e con
gli intonaci scrostati dal tempo, dall'erosione e dalla salsedine. Mi viene da
chiedere da quanti 'secoli' in questa chiesa non si entra più dalla porta
principale. Si entra invece da una porticella laterale. Cerco di spiegarmi
perchè questa chiesa mi colpisce tanto, essa rievoca nella mia mente i ricordi
sepolti di quando bambino tra i tre e i quattro anni andavo nelle chiese di
Napoli, totalmente abbandonate all'esterno e molto belle dentro. E' sera, c'è
la messa, c'è molta gente nella grande chiesa, i posti sono tutti occupati
sullo sfondo un altare con moltissime candele, man mano che sento la messa
rifletto su questa isola nella quale il senso del tempo scompare, qui sembra
che la fretta non esista, c'è sempre tempo per fare tutto, nessuno corre.
La processione dei Misteri
Ci dirigiamo verso un punto dove deve
passare la processione. Aspettiamo quasi venti minuti finchè si sente il suono
di una tromba che vagamente ricorda lo Shofar.
Arriva la testa della processione e ora
comincio a capire cosa sono i Misteri.
Molti gruppi di ragazzi e uomini di questa isola si riuniscono segretamente e
preparano delle rappresentazioni della vita di Gesù, e creano delle vere e
proprie scene su appositi palchi più o meno grandi e del peso che va dalle
poche decine di chili fino a parecchi quintali. I gruppi sono molti e quindi in
processione sfilano tantissimi Misteri,
lì dove siamo noi quando la processione finisce di passare è trascorsa più di
un'ora. Ci sono bambini anche molto piccoli e tutti i partecipanti alla
processione hanno un costume bianco e azzurro che contraddistingue la Confraternita dei Turchini, alla quale è
demandato il compito di organizzare la processione del Venerdì Santo.
Decine e decine di gruppi continuano a
sfilare, ognuno porta un Mistero ad
esempio l'Ultima Cena, o la deposizione del Cristo Morto. In ultimo arrivano
gli angioletti a lutto, bambini piccolissimi vestiti tutti di nero e ricoperti
di catenine e monili di oro vero, tanto oro e tanti bambini, e il Cristo Morto
che viene trasportato.
Epilogo
La processione continua fino al porto,
dopo di che i gruppi si sciolgono, al porto di nuovo mi colpisce la forma di
quella chiesa baroccheggiante, quasi Kitsch si potrebbe definire. La sera, col
fresco, usciamo Luigi mi presenta tante persone, in questa isola tutti hanno i
capelli nerissimi e molti la pelle olivastra, con la tipica fisionomia araba.
Arriviamo al porto, la chiesa è illuminata all'interno e mentre Luigi parla con
degli amici io entro. L'aspetto di questa chiesa è disarmonico e contrasta in
pieno con la semplice bellezza interno. Rifletto ancora sul senso della
religiosità di questi isolani, mi rendo conto che qui la religione fa parte di
tutto il vivere quotidiano, rimango incantato a sentire la messa tra quella
gente così composta e dignitosa. Mi accorgo che la distanza da dove abito io, e
questa isola, non è tanto una distanza fisica, ma è una grandissima distanza
psicologica e temporale: qui a Procida si vive in un'altra dimensione. Luigi
dice che qui a distanza di pochi chilometri il dialetto cambia molto e quindi
il dialetto dell'Isola di Procida è diverso da quello di Napoli o Pozzuoli.
A Procida quando la gente sente dire che io
sono di Napoli credono che io scherzi, eppure da piccolo parlavo un dialetto
molto simile al loro, ed ora non solo non ne sono più capace, ma non li capisco
nemmeno se essi parlano in dialetto.
Gesù, portalo
con te!
Tornai a casa.
Tempo dopo a Santa Marinella rividi Luigi di sfuggita insieme alla sua ragazza
che si chiamava Cira, era preoccupato perché non riusciva a trovare una
sistemazione. Io invece ricevetti un telegramma col quale venivo comandato di
andare a prendere servizio in Toscana entro 24 ore, dove mi trasferii e così ci perdemmo di vista. Solo molto tempo
dopo venni a sapere che Luigi, come tanti altri giovani, aveva perso la vita in
un terribile incidente stradale, durante uno degli innumerevoli viaggi tra
Civitavecchia e Procida ALLA RICERCA DI SE STESSO E DI UN LAVORO.